TRANCE E STATI SCIAMANICI DI COSCIENZA
di Franco Santoro
Entrare in trance o in uno stato
sciamanico di coscienza, significa muoversi in una condizione estatica di
consapevolezza, con una percezione che va oltre ciò che i sensi fisici
apparentemente segnalano. Ciò che percepisco nella vita ordinaria corrisponde
esclusivamente ai tipi di realtà a cui ho deciso di attribuire un significato.
Mi sono condizionato a vedere il mondo secondo un certo programma e, quando
sposto la consapevolezza, muovendomi oltre la mente ordinaria, che continua
sempre a ripetere quel programma, allora posso percepire il mondo in un altro
modo. Una delle prospettive essenziali di visione dello sciamanesimo è che io
non sono un essere fisico: io sono un campo di energia o faccio parte di un
Tutto o piuttosto, e in un’accezione più propriamente sciamanica, l’intera
nozione di io, intesa come separata
da tu e loro, non ha alcun senso. Negli ultimi millenni l’umanità pare
essersi allontanata da questo tipo di consapevolezza per confinarsi quasi
esclusivamente nell’identificazione con il corpo fisico e nell’idea di essere
un’unità frammentata (poco importa se la chiamo ego, personalità, sé o anima).
Un modo in cui posso riuscire di nuovo a percepire gli altri e il mondo nella
loro forma di unità originaria è attraverso i viaggi e le esperienze
sciamaniche.
La trance e gli stati sciamanici di coscienza fanno parte della
struttura genetica di base degli esseri umani. Ognuno di noi ha il bisogno
genetico di avere esperienze estatiche. Il problema è che tali esperienze, come
evidenziano molti dei termini impiegati per identificarle (alterazione della
coscienza, trance, ecc.), sono spesso considerate anormali e pericolose. Nella
maggioranza delle società umane contemporanee esse non vengono accettate
socialmente e non trovano alcun posto nei sistemi di educazione. Di conseguenza
finiscono sovente con l’esprimersi attraverso manifestazioni devianti come
pazzia, alcoolismo, tossicodipendenza, criminalità, perversioni, ecc.
Buona
parte dell’umanità sembra vivere in uno stato di ecstasy deprivation (privazione dell’estasi), come lo chiama
l’antropologa Felicitas Goodman. L’esperienza estatica è un bisogno
fondamentale per l’uomo. Il contatto con la fonte di soddisfazione di tale
bisogno è disturbato da qualcosa che è successo in un passato che si estende
ben oltre le documentazioni storiche ufficiali. Secondo alcuni antropologi, le
esperienze estatiche e il rapporto con le realtà non ordinarie costituivano
l’aspetto tipico dei popoli che vivevano anticamente sul nostro pianeta. Si
trattava di gente nomade, dedita alla caccia o alla raccolta ciclica dei
prodotti della terra, che col tempo finì con l’estinguersi o trasformarsi in
agglomerati tribali fondati sull’orticoltura. Con questo passaggio, dalla
caccia, o raccolta spontanea, all’orticoltura, si accelerò il processo di
separazione dalla coscienza dei popoli precedenti. Con lo sviluppo delle
società agricole e in seguito di quelle urbane, questo processo divenne poi
definitivo. Le documentazioni sulle esperienze estatiche delle popolazioni
primordiali iniziarono probabilmente a svilupparsi allorché le società basate
sull’orticoltura si erano già insediate. Queste società tramandarono una serie
di strumenti e istruzioni al fine di preservare l’accesso alle esperienze dei
loro antenati. Il procedere degli eventi accentuò tuttavia la separazione da
questo vissuto e lo rese in seguito incompatibile con la prospettiva dualistica
di dominio e potere che prevalse su gran parte del nostro pianeta.
Nelle
società recenti sono state generalmente ignorate altre possibilità di percezione
oltre quelle del corpo fisico. Le cose che vedo con gli occhi fisici,
identificate con un nome e uno spazio specifico, sono state estratte dalla loro
unità originaria e trasformate in entità separate. Esse possiedono contorni
netti e sono distaccate tra di loro da aree definite in genere come niente o vuoto. Il riconoscimento delle entità separate attraverso la
negazione degli spazi di vuoto rappresenta la condizione su cui si fonda la
percezione ordinaria della maggior parte degli esseri umani. Vedo e identifico
gli spazi fisici a cui ho deciso di attribuire un significato, ma non vedo
nulla nelle aree che esistono tra questi spazi perché ho stabilito che esse non
possiedono alcun senso. L’umanità sembra vivere in una realtà simbolica in cui
solo ciò che è definibile convenzionalmente assume significato, mentre tutto il
resto scompare dal campo della visione e dimora in una dimensione circondata
dal mistero. Ci siamo allontanati da qualcosa di cui un tempo eravamo
consapevoli, instaurando una mitologia di separazione dove l’unità e l’estasi
sono i tabù più radicati. Poiché crediamo di essere individualità distinte
dagli altri e dall’ambiente, tendiamo a investire notevoli energie per
sfruttare i nostri simili e la Terra, agendo come le cellule separate di un
tumore. Questo provoca danni immensi al pianeta e a noi stessi. Così come ci
siamo separati dalla Terra, allo stesso modo abbiamo tagliato i ponti con la
dimensione del Cielo. Attraverso l’adesione cieca ai condizionamenti religiosi
e sociali, ci siamo negati l’accesso diretto allo Spirito, rassegnandoci a
ricorrere a strutture gerarchiche che detengono il potere spirituale e che
fungono da mediatrici tra noi e Dio.
Nella
pratica sciamanica ognuno può ottenere la sua visione ed esperienza spirituale senza
mediazioni da parte di strutture prestabilite. Per recuperare questa esperienza
non si tratta tuttavia di combattere le strutture gerarchiche o di
colpevolizzare le autorità politiche e religiose. Questo è quello che l’uomo ha
continuato a fare fino a ora e ciò è servito, a mio vedere, solo a creare
maggiore rancore e separazione. Per conseguire la visione e l’esperienza
estatica ho bisogno di rinunciare al vittimismo. E’ l’attaccamento a questa
condizione che mi impedisce di prendere responsabilità e mi spinge ad agitarmi
freneticamente nella ricerca di un benessere che non giungerà mai. Secondo la
visione sciamanica, così come la percepisco, la vera rivoluzione consiste
nell’avere il coraggio di affrontare il mondo interiore poiché è da esso che emana
tutto ciò che sembra esistere al di fuori. Ciò non significa che occorre
limitarsi a fare viaggi sciamanici o a entrare in stati di trance. Queste
esperienze sono importanti, ma è necessario compiere anche azioni fisiche.
Talvolta si tratta di essere semplici e di vedere il mondo con l’ingenuità di
un bambino. Per esempio, posso andare tra gli alberi in mezzo alla natura, e
prendermene cura o parlare con essi. Gli alberi e gli animali troveranno un
modo per rispondere e per dirmi qualcosa su me stesso. Qual è la differenza tra
gli uomini e le piante? Esse non giudicano. Io creo problemi complicati con i
miei giudizi e la convinzione che i miei problemi siano dovuti a qualcosa che
mi è stato fatto o che esiste al di fuori di me. Quando lo faccio, creo ulteriori
separazioni e contribuisco solo ad aumentare lo stato di malessere. Altre
azioni fisiche riguardano gli aspetti ordinari della vita: lavorare, cucinare,
camminare, giocare, lavare, guidare, parlare, ecc. In ogni momento posso
scegliere di percepire da una prospettiva sciamanica.
In
occidente ciò che conta è la meta. Per ristabilire la connessione con la Terra
e il Cielo ciò che importa è il presente, non la destinazione. Le trance o
stati sciamanici di coscienza hanno a che fare con il presente e con il farci
uscire dalla trance più pericolosa:
quella dei condizionamenti e delle convenzioni quotidiane. La realtà è che
sulla Terra siamo sempre in un qualche stato di trance e il lavoro effettivo
consiste nell’imparare a equilibrare tali stati e a comprendere che non possiamo
entrare in una trance sciamanica senza venir fuori dalla trance in cui già ci
troviamo. Quando v’è squilibrio viviamo in uno stato di allucinazione in cui
percepiamo dolore, rabbia e ogni tipo di rancore. Quando v’è equilibrio scegliamo
di aprirci consapevolmente solo agli stati di trance che apportano amore,
estasi, pace e ogni tipo di benessere a noi stessi e agli altri.
Aprirsi
agli stati sciamanici di coscienza e alle realtà non ordinarie significa dire
veramente sì alla vita ed essere
pienamente responsabili. Vuol dire accettare di diventare una parte cosciente
dell’universo, scegliere di avere fiducia in un disegno divino, identificarsi
con la massima espressione di luce del nostro essere e andare ancora più avanti
per proiettare questa luminosità su tutto ciò che ci circonda. E’ un processo
che richiede solo il nostro consenso individuale. In definitiva, si tratta di
una scelta tra uno stato di totale presa di responsabilità riguardo la propria
percezione del mondo e una condizione di vittima passiva ad eventi determinati
da altri. La presa di responsabilità avviene in modo graduale, tramite un’opera
progressiva di guarigione che attraverso prove ed esperienze libera via via
blocchi e rancori. E’ un processo doloroso per l’ego in quanto l’impossibilità
di individuare colpevoli all’esterno gli impedisce di trovare un luogo di
rifugio per preservare le sue allucinazioni. Allo stesso tempo, questo processo
è un atto di amore inteso a determinare con cautela l’accesso ai propri
inesauribili strumenti di potere. Questi strumenti sono rimasti sepolti nei
territori inesplorati del mondo interiore. L’unico modo per accedervi consiste nell’andare oltre la
trance della realtà cosiddetta ordinaria. Ciò può accadere spontaneamente e
senza l’impiego di procedure particolari. La precarietà e l’illusorietà della
realtà convenzionale è tale che chiunque può accedere alla percezione di ciò
che esiste al di là. A questo riguardo si tratta solo di prendere in
considerazione e sviluppare una serie di esperienze a cui comunemente non si
attribuisce alcun senso: per esempio, sogni, visioni, fantasie, intuizioni,
ombre, spazi di vuoto tra un oggetto e l’altro, ecc. Una modalità più operativa
consiste nell’impiegare tecniche specificatamente sciamaniche. Il loro compito è creare spazi di vuoto nella coscienza e facilitare così l’accesso
a nuovi canali di comunicazione.
L’esperienza
di base dello stato sciamanico di coscienza è di carattere estatico e un mezzo
importante per realizzarla consiste nell’impiego di particolari stimoli, in
grado di produrre alterazioni nelle percezioni fisiche, e nel riferimento a un
contesto rituale e religioso. A questo riguardo sono state tramandate diverse
possibilità. Talvolta si tratta di metodi cruenti o di difficile gestione, come
il ricorso a sostanze velenose o piante allucinogene, lunghi digiuni, pratiche
dolorose di iniziazione, ecc. In altri contesti vengono impiegati strumenti non
traumatici e gioiosi, come il canto, la danza, il tambureggiamento, determinate
posture del corpo, o altre semplici pratiche rituali. Mentre i primi metodi
espongono al rischio di ripercussioni dannose sul piano fisico o mentale e
necessitano in genere di una preparazione raramente accessibile all’uomo
contemporaneo, i secondi, oltre a essere molto efficaci, sono sicuri e alla
portata di chiunque desideri sinceramente avere un’esperienza sciamanica.
“La
trance nella cultura occidentale” dice Michael Harner “è spesso associata con
l’attività medianica, che a sua volta è sovente caratterizzata dall’amnesia. Il
medium che parla in stato di trance medianica in genere non ricorda ciò di cui
ha avuto esperienza. Inoltre la trance medianica comporta una presa di possesso
delle facoltà del medium da parte di una qualche entità spirituale. E questo
non è affatto ciò che accade nello stato sciamanico di coscienza poiché qui si
è in grado di ricordare quello che è successo e [...] non v’è perdita di
controllo delle proprie facoltà come nei cosiddetti casi di possessione da
parte di entità esterne”.[1]
Per lo sciamano, inoltre, la trance o la visione non costituiscono l’obiettivo:
ciò che conta è riportare conoscenza e potere per guarire sé stessi e gli altri
e dare così un contributo alla rigenerazione della vita sociale. Nelle antiche
culture tribali la trance veniva riconosciuta come tale e aveva quindi un suo
posto preciso nell’ambito della struttura sociale.
Una
volta che si raggiunge lo stato sciamanico di coscienza, l’elemento decisivo
che determina l’esperienza estatica è sempre rappresentato dalla volontà di
riceverla. L’esercizio di questa volontà richiede pratica e pazienza in quanto
si scontra sovente con il muro di ostacoli (dubbi, paure, incertezze, sfiducia,
ecc.) messo in piedi dai sistemi di censura dell’ego. Nonostante le forti
opposizioni e i condizionamenti culturali contrari, gli stati non ordinari di
coscienza sono regolarmente oggetto di esperienza da parte di ogni essere
umano. Ciò che manca semmai è la disponibilità a riconoscerli o dare a essi
importanza. Per coloro che sono disponibili ad aprirsi a questa strada e che si
mettono effettivamente in cammino, le risposte ben presto arrivano in modo
inequivocabile e cristallino. Un mondo estatico e meraviglioso si definisce in
tutti i suoi particolari e dona un senso di indicibile amore e bellezza. Quando
ciò accade, la classica domanda che si pone la maggior parte dei ricercatori è:
“Ma mi sto inventando tutto?”. La risposta a tale quesito è la chiave segreta
del lavoro sciamanico.
[1] “The Ancient Wisdom in Shamanic Cultures: An Interview with Michael Harner conducted by Gary Doore” in Shirley Nicholson (ed.), Shamanism: An Expanded View of Reality, The Theosophical Publishing House, p. 15.
© 1999 Franco Santoro, info@astroshamanism.org. All rights reserved.
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