Sono nato a Bologna in una vecchia casa in via Santa Margherita, molto vicino a Piazza Maggiore e nel pieno centro
cittadino.
Non posseggo memorie vivide riguardo la mia casa natale poiché i
miei genitori si spostarono in una nuova casa quando avevo due anni. Per quanto concerne la mia
vita nella casa originaria, faccio riferimento unicamente alle informazioni
fornite dai miei genitori.
Essi non amavano molto parlare di quella casa. Ciò
era forse dovuto al fatto che quel luogo ricordava a loro tempi difficili, in
cui dovevano lavorare duramente e affrontare ristrettezze economiche. Magari
esistevano pure ragioni oscure, almeno questo è ciò che io percepisco in base
alla mia natura fortemente Scorpione.
In vero la mia casa natale l’avvertivo
come circondata di profondi misteri. In effetti diventò presto un sito piuttosto macabro e
deprimente. Nessuno vi abitava più e nell’elegante zona in cui
si trovava la casa rappresentava un ingombrante relitto. Tale presenza deturpava la
signorilità dell’ambiente circostante, tanto che varie petizioni furono promosse al fine di eseguirne l’abbattimento. Tuttavia, quella casa continuava a
restare al suo posto.
Era situata a pochi metri dalla nuova casa in via de’ Griffoni. Spesso, quando uscivo, solevo passarci proprio di fronte. In vero, la memoria più antica che sono in grado di riesumare riguarda un episodiche ebbe luogo allorché mi trovai a passeggiare davanti alla vecchia casa.
Era situata a pochi metri dalla nuova casa in via de’ Griffoni. Spesso, quando uscivo, solevo passarci proprio di fronte. In vero, la memoria più antica che sono in grado di riesumare riguarda un episodiche ebbe luogo allorché mi trovai a passeggiare davanti alla vecchia casa.
Quella esperienza
marca inoltre la mia prima esperienza riconosciuta di natura non-ordinaria e
francamente anche la più potente. Cercherò di descrivere parte di essa.
Un
giorno, Nonno Sandrino, vale a dire mio nonno materno, mi portò fuori per fare
una passeggiata. Egli viveva a San Venanzio di Galliera, un piccolo paese rurale nella
bassa bolognese, e usava venire di tanto in tanto in città per fare visita ai
miei genitori e a me. Poiché il cambiamento dalla città alla campagna era in
quei tempi assai radicale, queste visite credo fossero per mio nonno
un’occasione molto speciale ed eccitante.
Il suo carattere era diverso da
quello della maggior parte degli adulti che avevo conosciuto fino a quel
momento. Seppure egli si sforzasse di assumere un comportamento adulto, quando
eravamo insieme mi sembrava che la sua natura fosse assai simile alla mia. Ciò
mi faceva sentire molto a mio agio.
In quel giorno decidemmo di uscire per
visitare il parco cittadino. Mio nonno mi prese per mano e quindi iniziammo a
procedere lungo le piccole strade del vecchio centro. Dopo poco passammo di
fronte alla casa in via Santa Margherita.
Immediatamente fui colpito dalla porta di quella casa. Essa era grande e molto vecchia. Sebbene fosse chiusa, e questo era chiaro alla mia vista, mi giungeva pure, con la stessa nitidezza, l’immagine di quello che c’era al di là della porta.
Immediatamente fui colpito dalla porta di quella casa. Essa era grande e molto vecchia. Sebbene fosse chiusa, e questo era chiaro alla mia vista, mi giungeva pure, con la stessa nitidezza, l’immagine di quello che c’era al di là della porta.
Mio nonno si fermò e iniziò a scambiare alcune chiacchiere con
l’edicolante che aveva il suo chiosco proprio dinanzi alla porta. Ciò mi
permise di fissarla con più attenzione. Qualcosa mi attirava magneticamente
verso quella porta. Mi pareva di essere sia fuori che dentro l’edificio, mentre
la porta rappresentava un ponte tra due mondi in cui dimoravo
contemporaneamente. Fuori c’era la strada con tutte la sua vita: mio nonno,
l’edicola, il portico, la gente, il traffico, i rumori della strada. Dentro
c’era un ambiente totalmente diverso: incantato, dolce, caldo, silenzioso,
misterioso e pure molto famigliare.
Ciò che maggiormente mi stupiva di tutta
questa esperienza era il fatto che questa situazione non sembrava affatto nuova
per me. Mentre mi trovavo tra le due realtà esistenti dentro e fuori la porta,
provavo un gran senso di eccitazione e meraviglia.
Decisi di avvicinarmi onde
cogliere un debole suono che sembrava emanare dalla porta. Mi spostai solo
pochi passi e questo mi permise di udirlo distintamente. Era una voce che
parlava in un linguaggio inusuale. Non era l’italiano, non era il dialetto
bolognese che mio nonno e mia madre solevano impiegare, nemmeno si trattava del
dialetto siciliano usato da nonno Francesco, il mio nonno paterno. Potevo udire
un idioma totalmente fuori dal consueto e, allo stesso tempo, assai famigliare,
tanto che riuscivo a capire tutto.
In quei tempi avevo problemi ad apprendere
l’italiano. Il mio vocabolario era molto limitato e mi risultava faticoso
comprendere la maggior parte delle parole contenute in una frase. Inoltre avevo
notevoli difficoltà a pronunciare correttamente alcune consonanti.
Il
linguaggio che proveniva dalla porta, al contrario, era molto facile. La voce
diceva qualcosa che potrei tentare di tradurre coem segue:
“O bel del figlio
del Cielo, ritorna ad Handor, il tuo luogo di origine. Ti stiamo aspettando”.
Seppure tutto ciò poteva apparire strano, la voce e il suo messaggio non mi sorprese
affatto. Non era la prima volta che la sentivo, seppure non fossi capace di
ricordare quando l’avevo udita anteriormente. Ero certo di aver già ricevuto
questa chiamata in altre occasioni e proprio davanti alla porta.
La prima volta
che la riconobbi con chiarezza fu quella volta, tuttavia tale momento si
sovrapponeva ad altri di cui mi sfuggiva il ricordo e questo creava una
misteriosa spirale di incastri che in vero costituiva l’aspetto più potente
dell’esperienza.
“Passa attraverso la porta” diceva la voce e poi si arrestava
come per attendere una qualche risposta o azione da parte mia. Guardai
attentamente la porta.
Notai una peculiare forma emergente come un alone
attorno agli infissi. Sembrava una specie di grande cono gelato. Pure
quel cono mi apparve immediatamente famigliare. L’avevo visto altre volte. Era simile al cappello usato dai Bigini, gli esseri che
popolavano i miei giochi e le mie fantasie.
I coni gelato costituivano una delle leccornie maggiormente celebrate dai
bambini. Poiché io non nutrivo alcun interesse per i cornetti e per tutti i
gelati in generale, quello che mi attraeva in quel cono era ben altro.
“Mi
rendo conto della porta e del fatto che essa mi conduce alla mia vera casa” risposi
infine, sorprendendomi per il tono disinvolto e sicuro della mia espressione. In rapporto alla mia consueta timidezza e indecisione, tutto ciò appariva
alquanto stupefacente. Al che la voce rispose:
“Perché non entri allora?”
L’invito mi giunse molto allettante. Allo
stesso tempo mi sembrava troppo semplice e impulsiva. Decisi di prendermi una
pausa per ponderare.
“In effetti non ci sono poi così tante cose interessanti
fuori. Talvolta mi annoio e inoltre ci sono tante cose che mi spaventano e non mi
piacciono affatto. Potrei proprio ritornare a questo posto chiamato Handor. Si tratta solo di passare
attraverso la porta. E’ molto facile. Mio nonno non se ne accorgerà nemmeno”.
Stavo quasi per precipitarmi verso la porta quando un’altra voce mi giunse.
“E
i tuoi genitori che ti aspettano nell’altra casa?”.
Mi bloccai preso da un
senso totale di sorpresa. Mi era completamente dimenticato di loro. Ma la cosa
che mi sorprendeva e imbarazzava maggiormente era il fatto che, dopo aver
recuperato la memoria riguardo i miei genitori, l’attrazione verso la porta
continuava ad essere tanto forte quanto prima.
“Questa porta deve essere
davvero molto potente”, riflettei, “Non riesco nemmeno ad andare a letto o nel
bagno senza che essi siano presenti. E ora è come se non me importi nulla. Che
cosa mi sta accadendo? Forse potrei tornare a casa e raccontare tutta questa
storia al babbo e alla mamma”.
Non appena considerai questa opzione, mi arrivo
il ricordo di precedenti tentativi di spiegare situazioni similari, come i Bhi
Jinah e i loro cappelli a forma conica. In quelle occasioni i miei genitori
fingevano di non ascoltarmi o cambiavano il tema della conversazione.
All’inizio reagivano comprandomi un gelato cornetto. La prima volta che lo
fecero, fu una tale delusione. Mi trovavo lì con quella roba zuccherosa e
appiccicante tra le mani. Ciò mi causò un gran malumore. Dissi loro che non era
quello il cono a cui mi riferivo. I miei genitori, solitamente molto
disponibili nei miei riguardi, cercarono immediatamente di trovare un maniera
per soddisfare i miei desideri.
Procedettero a comprarmi un altro tipo di
cornetto gelato. Questo a prima vista apparve piuttosto interessante. A
differenza del precedente, esso era avvolto completamente da una carta dorata.
Quando però aprii la confezione e vi trovai semplicemente un’altra versione del
gelato precedente, mi irritai molto. I miei genitori si arrabbiarono pure
perché pensarono che li stessi prendendo in giro.
Ebbene, ritorniamo alla
porta. Nonno Sandrino, il quale forse mi avevo osservato durante la mia interazione con la porta, mi chiese che
stava accadendo.
“Forse è meglio che faccio finta di niente e continuo a
passeggiare” pensai. Così feci e quindi ci incamminammo verso il parco. Questa
mi parve la migliore soluzione poiché mi permetteva di riflettere sul da farsi.
“Una volta tornati dal parco, passerò nuovamente davanti alla porta. Quindi
prima di allora ho tempo sufficiente per riflettere e decidere che fare”.
Quando giunsi al parco, mi diressi subito verso l’albero più grande che usavo
chiamare Albero Grande. Chiesi
all’albero un consiglio riguardo la situazione della porta.
“Tu sai bene ove si
trova la porta” rispose l’albero “e vi puoi andare quando vuoi. Rifletti ora.
Sei proprio sicuro di volerci passare adesso e da solo? Ti ci è voluto molto
tempo per arrivare e quindi a svolgere il Gioco da queste parti”.
“Quale
Gioco?” domandai.
“Il Gioco del Cono” replicò l’albero.
“Cosa significa?”
chiesi.
“Si tratta di mettere insieme la gente” spiegò l’albero.
A questo punto
diventai alquanto curioso riguardo al Gioco che mi appariva come un insieme di
elementi molto famigliari con altri piuttosto misteriosi. Interrogai nuovamente
l’albero al fine di ottenere maggiori ragguagli.
“Guardati attorno” aggiunse
l’albero. Lo feci e vidi il cielo, l’erba del prato, altri alberi, una
bicicletta, un gruppo di uccelli, alcuni bambini che giocavano con una palla,
le loro madri sedute a chiacchierare sulle panchine, un gatto, mio nonno e
altre cose il cui nome non mi era chiaro. Poi con l’immaginazione mi vennero in
mente altre persone e cose, come i miei genitori, la nonna, i cugini, gli zii,
i miei giocattoli.
“Ho da passare attraverso la porta con tutta questa gente e
cose?” domandai.
“Sì, e anche qualcosa in più, se vuoi” rispose l’albero.
“Dove?” chiesi.
“Guarda nuovamente a quello che vedi attorno a te nel caso hai dimenticato qualcosa”.
Non appena
l’albero suggerì questa possibilità, mi resi conto che si stava riferendo ai
Bhi Jinah. In quel momento quindi iniziai a rendermi conto della loro presenza
negli spazi vuoti esistenti tra le forme piene.
“Devo prendere anche loro?”,
chiesi con una certa esitazione. [...]
“Certamente” rispose l’albero, “E’ con i
Bhi Jinah che avrai modo di mettere tutti insieme”. [...]
“Mi pare un gran bel gioco” commentai “In questo modo ce ne
andremo tutti oltre la porta e saremo molto felici. Che bello! Ora che ho
compreso bene come stanno le cose, posso dirlo certamente al nonno, poi alla mamma e al babbo, ecc.”.
A questo
punto l’albero mi fece notare che forse sarebbe stato difficile per loro capire
la situazione. Riflettendoci mi resi conto che i miei parenti così come tutti
gli altri esseri umani che avevo conosciuto fino a quel momento avevano la
tendenza a parlare solo tra di loro.
“Essi non hanno alcuna conversazione con
gli alberi, gli animali, le cose, per non parlare dei Bhi Jinah. Essi chiamano
i Bhi Jinah niente e dicono che i
grandi non perdono tempo con niente. [...] Come posso mai spiegare tutto
ciò?”
“Come per ogni buon gioco l’uso
della pazienza è indispensabile” rispose l’albero.
“La prima parte del Gioco
consiste nel fingere di diventare un essere umano. Si tratta di acquisire
familiarità riguardo le costumanze umane. Quando hai conseguito questo
obiettivo, la seconda parte concerne la ricerca della porta”.
“Ma che senso
ha?” Io so già dove si trova la porta?” obiettai.
“Sì, certo, lo sai.” rispose
l’albero “Ma una volta che poni tutta la tua attenzione nel comportarti come un
essere umano è molto probabile che ti dimenticherai della porta. Come tu sai
bene, gli esseri umani parlano solo tra di loro e non vedono i Bhi Jinah... La
seconda parte del Gioco è estremamente eccitante poiché comporta una serie di
trucchi. Non mi dilungo oltre su questo tema. Mi limito a dirti che la seconda
parte del Gioco si conclude con il ritrovamento della porta. Ebbene, una volta
che trovi la porta, la terza parte del Gioco ha inizio. Essa riguarda il
passaggio attraverso la porta sia da parte tua che degli altri. E’ la fase
cruciale del Gioco e, in quanto tale, pure la più difficile. Poiché nell’atto
di coinvolgere gli altri può capitare di perdere di vista nuovamente la porta,
spesso succede che occorre ritornare nuovamente nella seconda parte onde
ripetere la fase di ritrovamento della porta. Questo è il Gioco del Cono. E’ un
vecchio gioco ed è assai divertente. Inoltre finisce sempre bene. Questo non significa che si tratta di
un gioco facile. Sovente non sembra affatto un gioco Ed è proprio ciò che lo
rende così stimolante ed eccitante. Questa è la sfida del gioco. Un’altra cosa
qui è il fatto che più commetti errori, maggiormente impari, e ti viene sempre
data una possiblità di correzione. Proprio non ho mai visto un gioco simile!”
Le parole dell’albero mi conquistarono totalmente. Quest’albero era una vecchia
quercia e possedeva quindi conoscenze molto profonde riguardo al Gioco. Vi era
una cosa che d’improvviso mi preoccupò: “Se gli umani comunicano solo tra di
loro” feci notare “allora significa che quando divento uno di loro, tu non
parlerai più con me, e così pure gli animali, le pietre, i giocattoli e i Bhi
Jinah. E allora come farò senza di voi?”
L’albero chiarì come segue: “In vero
le cose non stanno proprio così. Per quanto mi riguarda, in qualità di
rappresentante anziano degli alberi, sono sempre disponibile a parlare con te,
e così pure sono certo i Bhi Jinah. Il punto è che uno degli sviluppi più
frequenti del gioco comporta la perdita di memoria della connessione con noi.
Ricordati che questo fa parte del gioco e non durerà per molto. In questo modo
impari molte cose. Inoltre contribuirai al recupero di qualcosa di cui c’è
molto bisogno dall’altra parte della porta. Abbi fiducia. Riceverai tutte le
istruzioni necessarie a tempo dovuto. Inoltre un contingente di Bhi Jinah ti
resterà accanto in ogni momento per accompagnarti nelle tue imprese. [...]”.
Bene, francamente, ciò che l’albero disse non fu proprio esposto letteralmente
in questi termini. V’era qualcosa in più che egli disse e anche qualcosa in
meno. E, in vero, il linguaggio impiegato non era l’italiano o l’inglese.
Tuttavia, sento che, per quanto riguarda il mio livello di comprensione
corrente, ciò che ho fornito qui è la migliore traduzione possibile, per il
momento.
Alcuni anni fa, durante una
breve visita a Bologna. decisi di visitare la mia vecchia casa natale,
onde verificare se l’edificio era ancora al suo posto o meno. Con grande
stupore trovai la casa meravigliosamente ristrutturata e trasformata in
un lussuoso albergo (Hotel Novecento).
Quella che era un tempo considerato il relitto deprimente
della zona, se ne stava ora lì orgoglioso come l’edificio più elegante e
attraente in assoluto.
Ravvisai immediatamente una connessione riguardo la mia vita e mi resi conto che lo stato della casa natale rifletteva un mio processo di trasformazione. Mi fece sorridere inoltre il fatto che, oltre ad aver lavorato nel settore alberghiero per molti anni e a vivere attualmente in una struttura di tale natura (Findhorn Foundation Cluny Hill), ora posso dire pure di essere nato in un albergo.
Ravvisai immediatamente una connessione riguardo la mia vita e mi resi conto che lo stato della casa natale rifletteva un mio processo di trasformazione. Mi fece sorridere inoltre il fatto che, oltre ad aver lavorato nel settore alberghiero per molti anni e a vivere attualmente in una struttura di tale natura (Findhorn Foundation Cluny Hill), ora posso dire pure di essere nato in un albergo.
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