venerdì 21 ottobre 2011

Lo Scorpione e la Via Benedetta del Bardo (di Franco Santoro)

“Quando ci confrontiamo con i nostri peggiori incubi le scelte sono poche: lottare o fuggire. Speriamo di trovare la forza di affrontare le nostre paure, ma talvolta, nostro malgrado, scappiamo. E se il nostro incubo ci darà la caccia? Dove mai ci nasconderemo?” (Eroi, Stagione 2, Episodio 5)

Il periodo dello Scorpione è ricco di benedizioni e opportunità per svelare segreti nascosti, specialmente su chi realmente siamo oltre l’identificazione con la nostra vita cosciente. 

Lo Scorpione spesso sopraggiunge come un Mietitore Feroce, che spazza via quello che appare, dissolvendo la quieta routine dell’esistenza ordinaria e liberando gli elementi oscuri della vita. Questi elementi tendono a fare luce sull’inevitabile perdita, o data di scadenza, di molte cose che diamo per scontate nella vita, inclusa la fine della vita stessa, la morte.

La consapevolezza della morte, che è ciò che lo Scorpione tenacemente segnala, è paradossalmente il controllo più pragmatico della realtà e il principale attivatore della consapevolezza della vita. 

La morte è “il sogno principale da cui scaturiscono tutte le illusioni” (UCIM, M27, 1.1), e l’immersione dello Scorpione nel suo mistero, lungi dall’essere una sinistra evoluzione della negazione della vita è sicuramente un passo decisivo per comprendere e padroneggiare la vita stessa.

Lo Scorpione possiede l’abbagliante capacità di enfatizzare ciò che ci tiene nell’oscurità e nasconde la consapevolezza di chi siamo ad un livello multidimensionale, così da poter essere rilasciato, consentendo al nostro autentico sé di vedere, aumentare la sua trasparenza e risplendere nella nostra vita. 

Dolore, paure, disperazione e ogni genere di pensieri o emozioni spiacevoli mostrano ciò che non c’è e ci nascondono ciò che potremmo vedere se riconoscessimo la nostra autentica luminosa identità. Per poter vedere dobbiamo mettere da parte i rancori, praticando il perdono come supremo atto di rilascio della nostra percezione separata.

Lo Scorpione insegna che proprio mentre l’oscurità sembra raggiungere il suo culmine nella vita, la luce può dissiparla, se scegliamo con fermezza di rimanere connessi al nostro sé multidimensionale e alla rete della vita.

“La fuga dall’oscurità implica due tappe: primo, il riconoscere che l’oscurità non può nascondere. Di solito questo passo implica paura. Secondo, il riconoscere che non c’è nulla che vuoi nascondere anche se potessi. Questo passo porta a sfuggire alla paura. Quando sarai disposto a non nascondere nulla, non solo sarai disposto ad entrare in comunione, ma comprenderai anche la pace e la gioia.” (UCIM, T-1.IV.1:5)

Lo Scorpione possiede la consapevolezza di questa zona di transizione tra luce e buio, buio e luce, vita, morte e rinascita. Questa zona intermedia in tibetano è chiamata bardo, che significa letteralmente “ciò che sta in mezzo” o “intervallo”. 

Il bardo, che in sanscrito è chiamato antarabhava, non è soltanto l’intervallo dopo la morte, ma abbraccia ogni genere di sospensione nella vita, piccola o grande, come momenti di frustrazione, incertezza, crisi, nonché sogni, fantasie, ecc.

Il Bardo Thodol (letteralmente: “liberazione attraverso l’ascolto nello stato intermedio”), meglio noto come Il Libro Tibetano dei Morti, differenzia gli stati intermedi tra le vite in tre bardi: il chikhai bardo o “bardo del momento della morte”, il chonyid bardo o “bardo dell’esperienza della realtà” e il sidpa bardo o “bardo della rinascita”, che corrispondono astrosciamanicamente ai tre Livelli.

Il chikhai bardo è relativo all’esperienza della “chiara luce della realtà”, l’approssimazione più vicina possibile al sé multidimensionale, o Identità Multidimensionale Centrale (IMC) in termini astrosciamanici. Il chonyid bardo presenta visioni di varie forme spirituali evolute, mentre il sidpa bardo include allucinazioni stimolate karmicamente che possono portare alla (risolversi in una) rinascita. 

Il Bardo Thodol fa riferimento anche ad altri tre bardi: il kye ne bardo o “bardo della vita” o consapevolezza ordinaria, il milam bardo, o “bardo del sogno” (tutte le attività mentali durante il sonno) e il samtem bardo o “bardo della meditazione” (tutti i tipi di condizioni di coscienza meditativi o espansi). 

Tutti i bardi forniscono opportunità molto potenti di liberazione e illuminazione. I bardi sono disponibili permanentemente sia nella vita che nella morte. Sono stati transitori tra la nostra identità ordinaria limitata ed il nostro sé multidimensionale centrale. 

Lo scopo di base dello sciamanesimo è fornire l’allenamento necessario per navigare efficacemente nel labirinto del bardo.

Generalmente per gli esseri umani ordinari la via per accedere al bardo e alla loro identità multidimensionale centrale è attraverso l’incoscienza, ed è ciò che accade regolarmente nella loro routine quotidiana. Questo perché la connessione con il sé multidimensionale è essenziale per la sopravvivenza di ogni altra possibile identità e realtà, non importa quanto sia falsa. 

Tutti gli individui, per poter funzionare, necessitano di un rapporto ricorrente con il sé multidimensionale, proprio come hanno bisogno di respirare, anche se non sono consapevoli che lo stanno facendo.

Tuttavia, mentre respirare è sicuramente un’attività scientificamente accettata, priva di qualsiasi opposizione o divieto nella realtà ordinaria, non è così per il rapporto con il nostro sé multidimensionale. Poiché la nostra realtà consensuale è basata sulla negazione cosciente della nostra natura multidimensionale, ne consegue che gli esseri umani, sebbene la sperimentino costantemente, non hanno alcun indizio su cosa sia, semplicemente perché quest’esperienza non è cosciente.

Il mondo ordinario, e tutte le realtà governate dall’ego, detesta la morte e ogni situazione di crisi profonda perché comportano l’annientamento di tutti i loro folli sogni. 

 Morte e malattia possono essere dolorosi, tuttavia, come scrive Alan Watts “ciò che le rende problematiche è che sono vergognose per l’ego. È la stessa vergogna che proviamo quando siamo colti in fallo, come quando un vescovo viene scoperto con le dita nel naso o un poliziotto in lacrime. Per l’ego è il ruolo che conta, la ”finzione” che il proprio sé più segreto è permanente, che ha il controllo dell’organismo, e che mentre “ha” l’esperienza non ne è coinvolto. 

La sofferenza e la morte smascherano questa finzione, ed è per questo che la sofferenza è quasi sempre accompagnata da un senso di colpa, una sensazione che è molto difficile spiegare quando la finzione è inconscia. L’oscura ma potente sensazione che si potrebbe non soffrire o morire...” (Alan Watts, Psychotherapy East and West, Pantheon Books, 1961)

“Lo sciamano in te vive quotidianamente con il senso della morte, mentre il resto di te lotta con il pensiero deprimente che la vita presto finirà. Penso che sia come dicono gli sciamani: Soltanto il senso della morte imminente è in grado di scuoterti e liberarti dai tuoi momentanei attaccamenti e paure, dal tuo interesse nei programmi che hai stabilito. E così lo stregone dà il benvenuto alla morte come la fine di uno stile di vita che ha fatto il suo tempo. Lo sciamano trova trasformazione ed estasi, non tragedia o fallimento, nella morte”. (Arnold Mindell, The Shaman’s Body: A New Shamanism for Transforming Health, Relationships, and the Community, Harper, San Francisco, 1993, p. 157)

La morte ci sfida a fermarci e ad espandere i nostri orizzonti. Questo spesso accade nei momenti avversi, quando in pratica siamo costretti a interrompere certi schemi meccanici nella nostra vita. 

Nella vita di tutti i giorni la concentrazione maggiore è sul fare. Continuiamo a correre di qua e di là finché una malattia o la morte non ci costringono a fermarci. È per questo che per molte persone l’unica opportunità di smettere di fare e cominciare ad essere si presenta quando si trovano di fronte a situazioni in cui rischiano la vita. Il paradosso è che oltre la percezione ordinaria tragica e spaventosa della morte, esiste uno spazio in cui le cose sono molto più semplici e pacifiche. 

Se moriamo o ci troviamo di fronte a una morte imminente tutte le nostre responsabilità e obblighi immediatamente svaniscono. Ci fermiamo e ci focalizziamo sull’essere, mentre il mondo continua ad essere occupato a fare. Prendendo del tempo per morire di proposito, mentre siamo ancora vivi, diventiamo più vivi nel presente. Ad esempio, puoi provare a fermarti proprio ora,  diventando consapevole del tuo respiro, come se stessi esalando i tuoi ultimi respiri.

Dedicare regolarmente del tempo a meditare o viaggiare sciamanicamente ci consente di imparare l’arte guaritrice di morire, fermarci e connetterci con la nostra natura multidimensionale, che è in verità l’unica parte di noi che può superare la morte, che continua a vivere mentre tutto il resto si dissolve. 

La Morte giunge sempre come un inquisitore dei nostri pensieri e delle nostre emozioni e intenzioni, come dice AFS Bogus, “sol chi non si defila dinanzi alla morte è persona verace”

© Franco Santoro, info@astroshamanism.org

Immagine: "Angel of Death" by Evelyn de Morgan




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